21 Oct, 2025 - 09:27

Autista ucciso nell’agguato al bus dei tifosi, i sindacati umbri: "Non si può morire così, si faccia giustizia"

Autista ucciso nell’agguato al bus dei tifosi, i sindacati umbri: "Non si può morire così, si faccia giustizia"

Un viaggio di ritorno dopo una gara di basket, una pietra lanciata nel buio, una vita spezzata. La morte di Raffaele Marianella, autista di autobus colpito da un sasso durante un agguato al pullman dei tifosi del Pistoia Basket sulla Rieti–Terni, ha scosso l’Umbria e il mondo del lavoro. Non è solo cronaca nera: è l’ennesimo confine oltrepassato tra tifo e violenza, tra strada e sicurezza, tra sport e barbarie. I sindacati dei trasporti chiedono giustizia rapida e certa; una comunità intera prova a farsi domande che bruciano.

L'agguato al bus dei tifosi del Pistoia Basket, ucciso l'autista: le prime ricostruzioni

Secondo quanto emerso, l’autobus stava rientrando dopo la trasferta quando un sasso ha raggiunto il parabrezza, trasformando la carreggiata in una trappola. L’impatto è stato fatale per Marianella, che stava facendo semplicemente il proprio lavoro: condurre in sicurezza i passeggeri. È questo dettaglio a rendere il caso ancora più feroce: la morte avviene in un contesto che, per definizione, dovrebbe restare presidio di normalità.

Chi indaga dovrà chiarire dinamica e responsabilità, verificare l’eventuale presenza di telecamere, tracciare gli spostamenti dei gruppi organizzati, raccogliere testimonianze lungo un tratto di strada già noto per criticità e punti ciechi. Ogni minuto conta per inchiodare i responsabili a un reato che di gesti “goliardici” non ha nulla.

Il dolore dei colleghi e la voce dei sindacati: "Fuori da qualsiasi logica"

Nelle ore successive, le organizzazioni umbre dei trasporti – Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Faisa Cisal – hanno affidato a una nota parole che sono insieme lutto e denuncia. “Ci lascia senza parole e con il cuore affranto la morte di un collega autista”, scrivono, ricordando che Marianella stava riportando a casa dei tifosi dopo una competizione sportiva: “Non si può morire così”. È una linea rossa tracciata con nettezza: “Non si può perdere la vita così, per mano di ignobili persone che dello sport ne fanno un momento di violenza”.

Nel cordoglio c’è anche la rivendicazione di un tema rimosso: la sicurezza dei lavoratori della strada, troppo spesso esposti a aggressioni, minacce, oggetti lanciati dai cavalcavia o da sponde di strade extraurbane. “Chiediamo che si faccia il prima possibile chiarezza sull’avvenuto e che i colpevoli vengano assicurati alla giustizia”, concludono, trasformando il dolore in richiesta di verità.

Le indagini: tre ultrà fermati a Rieti

Coordinata dal procuratore capo Paolo Auriemma, l’inchiesta ha imboccato subito la pista della frangia organizzata della Curva Terminillo: nella notte tra il 19 e il 20 ottobre la Polizia di Stato ha fermato tre ultrà della Sebastiani Basket Rieti – Manuel Fortuna e Kevin Pellecchia, entrambi 31enni, e Alessandro Barberini, 53 anni – ritenuti coinvolti nell’agguato costato la vita a Raffaele Marianella.

La Questura ha parlato di “gravi indizi di colpevolezza”: a stringere il cerchio sono stati le immagini di videosorveglianza, i riscontri su auto usate per la fuga sotto un cavalcavia e le testimonianze raccolte subito dopo la sassaiola sulla statale Rieti–Terni, poche centinaia di metri dopo lo svincolo di Contigliano. Dagli accertamenti emergono anche contiguità dell’area ultrà a simbologie e contenuti dell’estrema destra, con riferimenti a personaggi e movimenti neofascisti rintracciati sui profili social di alcuni fermati. Per tutti è scattato il fermo di indiziato di delitto: sono stati portati nel carcere di Rieti, in attesa della convalida del Gip e dell’eventuale contestazione dell’omicidio volontario.

Giustizia e responsabilità: cosa aspettarsi adesso

Le indagini dovranno accertare se l’agguato sia stato premeditato, se vi fossero più persone coinvolte, da dove sia partito il sasso e con quali modalità. Sul tavolo c’è l’ipotesi di omicidio e la possibile aggravante del contesto sportivo. Intanto, le parti sociali chiedono un segnale duro, perché la pena sia proporzionata alla brutalità del gesto e perché la vicenda diventi un punto di non ritorno nelle politiche di prevenzione. La famiglia di Marianella attende risposte, i colleghi domandano tutele reali, i tifosi veri – la maggioranza silenziosa – rivendicano il diritto a vivere lo sport senza paura.

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Giorgia Sdei
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