È morto Jorge Mario Bergoglio. La notizia ha generato, come prevedibile, una nuova ondata di retorica mediatica. L’uomo delle frasi informali, del “buonasera” pronunciato dal balcone della loggia, dei gesti a favore di telecamera, viene celebrato come simbolo di un rinnovamento, di una Chiesa “più vicina”, più popolare. Ma sotto questa narrazione, ormai consolidata, si nasconde il volto di un “pontificato” – definito così secondo la comune percezione, ma da anni oggetto di serie perplessità – che ha segnato con determinazione e senza tentennamenti una delle fasi più gravi del processo di autodissoluzione del cattolicesimo. E' quanto sostiene il teologo eugubino Luigi Girlanda sulla pagine del giornale online Vivo Gubbio
Secondo l'analisi di Luigi Girlanda, "non è oggi tempo di rivalse. È tempo di verità. Jorge Mario Bergoglio non è stato un’eccezione. È stato la più esplicita e spregiudicata espressione del modernismo conciliare, l’ultimo anello – certo il più rozzo e determinato – di una catena iniziata oltre sessant’anni fa".
Girlanda afferma che "non si comprende la portata della sua figura se la si considera isolatamente". Il suo “pontificato” – "più o meno legittimo, com’è ormai inutile fingere" – "si è svolto sotto l’ombra di perplessità mai del tutto dissipate". "È un fatto che da anni teologi, canonisti e semplici fedeli hanno sollevato dubbi, non si sa quanto fondati, sia sulla validità delle dimissioni di Benedetto XVI, sia sull’elezione di Jorge Mario Bergoglio".
Girlanda sostiene che "se vogliamo comprendere fino in fondo la singolarità e la gravità del pontificato di Francesco, occorre metterlo a confronto con i suoi immediati predecessori: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI".
Su Giovanni Paolo II, osserva: "Fu un papa carismatico, capace di parlare ai popoli e ai giovani, ma anche di esercitare con forza il proprio ruolo di guida morale in un’epoca di transizione. Difese la dottrina morale tradizionale con energia. Tuttavia, fu anche lui fautore di una visione pastorale che, seppure saldamente ancorata alla dottrina, favorì un’apertura dialogante verso il mondo moderno".
Riguardo a Benedetto XVI, dichiara: "Teologo raffinato e profondo, cercò di riportare la Chiesa a una maggiore consapevolezza delle sue radici teologiche. La sua ‘ermeneutica della continuità’ fu un tentativo nobile di tenere insieme Tradizione e Vaticano II. Ma le pressioni interne alla Curia e la sua rinuncia lasciarono la Chiesa vulnerabile".
Girlanda è severo con Francesco: "Ha capovolto molte delle tensioni ancora irrisolte, scegliendo deliberatamente di rompere con la Tradizione più che armonizzarla. Ha preferito una Chiesa come ‘ospedale da campo’ piuttosto che come bastione della verità rivelata; ha posto l’accento sulla misericordia, a scapito della giustizia; sull’inclusione, al prezzo della coerenza".
Secondo lui, "Francesco ha rappresentato la continuazione – più esplicita, meno velata – di quella nuova ecclesiologia nata dal Vaticano II. Un’autorità nata per confermare i fratelli nella verità ha finito per piegare la verità al sentire del mondo".
Le sue critiche sono nette: "Le esternazioni ambigue, le riforme pastorali destabilizzanti, le dichiarazioni teologicamente strampalate – unite a una strategia comunicativa aggressiva – hanno prodotto divisione, confusione, disorientamento".
"Il caso della Messa tradizionale, colpita e umiliata, è solo uno degli esempi. Vescovi fedeli alla dottrina di sempre sono stati isolati, ordini religiosi smantellati, teologi silenziati", denuncia Girlanda.
E aggiunge: "Questa stagione ecclesiale ha visto il trionfo di una pastorale dell'emozione sulla teologia della Croce. Il culto dell'immagine, il linguaggio semplificato, le espressioni estemporanee e l'esaltazione del sentimento hanno oscurato il rigore dottrinale e l'autorità magisteriale".
Girlanda cita anche la recente crisi delle vocazioni: "Mentre si parlava di accoglienza e periferie, i seminari si svuotavano, le parrocchie chiudevano, i giovani si allontanavano. Non è bastato usare un linguaggio più informale per fermare l’emorragia spirituale".
Ma infine conclude con uno sguardo spirituale: "Oggi Jorge Mario Bergoglio non è più protagonista della scena ecclesiale. È un’anima davanti al giudizio di Dio. Non conteranno le opinioni, ma ciò che il papato è nella mente di Dio: un servizio alla rivelazione immutabile".
"Durante la sua malattia, molti hanno pregato per la sua conversione. Non c’è spazio per il rancore, né per la soddisfazione. Solo per giustizia e misericordia".
"Requiem aeternam dona ei, Domine. Et lux perpetua luceat ei. Requiescat in pace. Amen".
Nel contesto dell’articolo firmato da Luigi Girlanda, questa invocazione chiude un’analisi severa ma anche profondamente spirituale, riconoscendo – oltre ogni dissenso dottrinale – la dignità di un’anima giunta al termine del suo pellegrinaggio terreno. Un richiamo alla misericordia divina, che resta sempre l’ultima parola sulla vita di ogni uomo.